domenica 16 ottobre 2011

Il principe

Inizia colorata e soleggiata, la manifestazione di ieri. Piazza della Repubblica comincia a riempirsi dalla mattina sino alle 14:00. Ci sono gli studenti che arrivano da Piazza Aldo Moro, organizzati e mascherati, che hanno preso l'"Onda" delle loro proteste e l'hanno gettata nel mare globale dell'indignazione. Ci sono le associazioni, i sindacati, altri studenti non organizzati, anziani, lavoratori, immigrati, attori travestiti da agenti di borsa che fingono di parlare al telefono in milanese perchè "investire in san pietrini è meglio che in asfalto", musicisti, professori, partiti, impiegati, professionisti, disoccupati, precari. Ognuno è sceso in strada per le proprie ragioni. Tutti, però, accomunati dalla rabbia e dalla stanchezza, dalla sfiducia verso le istituzioni politiche e finanziarie, dalla voglia di unirsi al grido delle altre 952 piazze del Mondo. United for a global change. Si respira chiaramente, almeno su Corso Cavour, la sensazione di far parte di qualcosa di più grande, che non per questo confonde i problemi del singolo in un unico calderone ma presta a ognuno una forza in più. Una forza globale
Si può riflettere su questo fino al Colosseo, sino a quando fumo e caschi neri distolgono l'attenzione dei manifestanti, e dei media, verso qualcosa di molto più particolare: black block e fumogeni, camionette della polizia che investono civili, ambulanze, lacrime, scontri. Su Via Labicana la gente inizia a correre e retrocedere. Nel percorso verso Piazza San Giovanni, dove il corteo doveva confluire, lo spirito della manifestazione va in fumo così come le macchine e i palazzi. 
Chi manifestava per l'indignazione è ora indignato per la manifestazione. 
C'è chi se ne va sconfitto e chi non vuole arrendersi e si spinge, nonostante le lacrime e lo spavento, fino alla piazza. Ma lì la guerriglia impazza. Ci sono black block e poliziotti, ci sono ultras prestati alla strada, c'è chi nella violenza ci si è trovato per caso e chi invece crede sia il mezzo adeguato per far sentire il proprio disagio e la propria rabbia contro la crisi, la povertà, il sistema economico mondiale, le banche, le istituzioni. Con il fine e la speranza, forse, di cambiare qualcosa. 
Uno striscione incornicia la lotta. Condannando proprio quel sistema, quelle banche e quelle istituzioni di far pagare il debito sovrano (fine) a chi non lo ha contratto (mezzo), recita imponente: "Il fine non giustifica i mezzi".